#TheRAREside

#TheRAREside, cinque video-storie “ai confini della rarità” che raccontano le malattie rare

“Il lavoro, soprattutto per una patologia come la mia, ti dà una motivazione in più per andare avanti. Perché comunque hai un obiettivo, qualcosa da portare a termine”. Sono parole di Mattia Abbate, curatore della rubrica “Ci vuole abilità” di Repubblica.it Milano e protagonista della terza edizione di “#TheRAREside – Storie ai confini della rarità”, campagna di comunicazione lanciata da OMaR (Osservatorio Malattie Rare) in occasione della Giornata Mondiale della Malattie Rare.
#TheRAREside è un’iniziativa patrocinata dall’Alleanza Malattie Rare che nasce dalla volontà di diffondere e rendere noti attraverso delle video-storie i sogni e i bisogni di chi è affetto da una malattia rara e anche di coloro che vivono quest’ultima indirettamente. La campagna di comunicazione, che si pone l’obiettivo di raccontare senza filtri ed esasperazioni la diversità e l’unicità, quest’anno è passata dalla formula interamente digitale delle scorse edizioni a una mista, inaugurata da una proiezione in anteprima delle cinque video-storie presso il cinema Quattro Fontane di Roma. All’evento hanno partecipato anche la Ministra per la Disabilità Alessandra Locatelli, l’onorevole Maria Elena Boschi dell’Intergruppo Parlamentare Malattie Rare e altri numerosi rappresentanti delle Istituzioni.
“La nostra mission è portare le malattie rare nella quotidianità, non a caso lo slogan di #TheRAREside è ‘Storie uniche. Bi-sogni comuni’. Perché questo sia possibile occorre che chi ne è affetto non sia considerato un ‘essere speciale’ ma una persona che ha dei sogni, progetti e interessi anche molto comuni, ma che per perseguirli deve superare ostacoli che non dovrebbero esserci”, ha dichiarato Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice di OMaR, durante l’evento inaugurale. “Molti di questi possono e devono essere rimossi come la barriera culturale del ‘noi’ e del ‘loro’ ad esempio, le barriere architettoniche, i diritti stabiliti ma negati nella pratica, la scarsa attenzione a ciò che compone la ‘qualità di vita’ non intesa come parametro clinico ma esattamente come ognuno la intende”.
“Futuro dal primo giorno”, “Libertà fa rima con accessibilità”, “Un rapporto speciale” e “Il mio tempo” sono i titoli di quattro delle cinque video-storie che raccontano, rispettivamente, le vicende della piccola Clara, di Valentina, di Sara e di Samuele. I temi affrontati sono quelli dell’importanza dello screening neonatale per la diagnosi dell’atrofia muscolare spinale (Clara), della mobilità intesa anche come piacere di viaggiare (Valentina), del rapporto affettivo che lega le persone agli animali (Sara) e del ruolo fondamentale e prezioso dei caregiver (Samuele).
Poi c’è la storia di Mattia, che s’intitola “Diritti al lavoro” e che è simile a quelle di tanti altri ragazzi che fanno parte della community del Diversity Day. Mattia ha 32 anni, è un giocatore di powerchair hockey, un giornalista che collabora con uno dei principali quotidiani italiani e un ragazzo affetto dalla distrofia muscolare di Duchenne, una patologia neuromuscolare caratterizzata da una degenerazione progressiva dei muscoli scheletrici, lisci e cardiaci. Ecco la sua testimonianza di quella che definisce un’esperienza “tragicomica” vissuta all’inizio del suo percorso di avvicinamento al lavoro: all’età di 27 anni, dopo la laurea in storia, si è recato presso un ufficio di collocamento per entrare a far parte delle categorie protette e successivamente è stato contattato da un’azienda di condizionatori alla ricerca di un tecnico. “Guardi, anche volendo, avendo una disabilità fisica molto grave, la vedo difficile poter riparare i condizionatori”, gli ha risposto.

Nonostante le difficoltà iniziali, però, Mattia è riuscito a trovare il lavoro dei suoi sogni. Nel 2018, infatti, è entrato a far parte della redazione di Repubblica Milano. La testata gli ha proposto di curare una rubrica che parlasse di disabilità, offrendogli un periodo di prova di due mesi e poi un’eventuale assidua collaborazione. Mattia racconta di aver molto apprezzato il trattamento che gli è stato riservato, uguale a quello riconosciuto a un lavoratore qualsiasi.

“Le Istituzioni dovrebbero lavorare in questo senso: dare la possibilità alle persone di scegliere che cosa fare della loro vita, non dovendolo escludere a priori in quanto disabili. La disabilità non dovrebbe essere la prima discriminante quando veniamo scelti nel mondo del lavoro”, sottolinea Mattia. “Questa è una cosa che credo sarebbe molto importante da far capire, perché altrimenti continueremo a parlare di lavoro per i disabili senza fare niente, nel concreto, per garantire questo diritto.”

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