Poca conoscenza e concretezza sull’inclusione al lavoro

Poca conoscenza e concretezza sull’inclusione al lavoro

“Il 16 novembre, nel corso delle audizioni in XII Commissione Affari Sociali della Camera, Andel, l’Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro, rappresentata da Enrico Seta e Marino Botta’, ha espresso “profonda delusione per la sottovalutazione del tema dell’inclusione lavorativa che emerge dal testo del disegno di legge delega sulla disabilita’ presentato dal governo”. “Il dubbio che abbiamo avuto, leggendo il ddl, e’ che il tema del lavoro delle persone disabili, e quindi del relativo riassetto normativo, fosse stato tenuto fuori dal ddl disabilita’ per essere poi trattato in un futuro disegno di legge di iniziativa del Ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Ma nessuna dichiarazione in tal senso e’ arrivata dal governo. Siamo quindi costretti a prendere atto che anche questo governo non ha una percezione concreta di questa realtà e del disagio sociale che essa produce e che anche il ddl sulla disabilita’ rischia di essere un’ennesima occasione perduta”, si legge ancora in una nota. Andel fa anche sapere di avere lasciato agli atti della commissione Affari Sociali “alcune proposte di emendamenti al ddl disabilita’ e informa che “una serie di emendamenti alla Legge di Bilancio sono stati trasmessi anche ai senatori appartenenti a tutti i gruppi parlamentari per evitare che la richiesta di lavoro, e non di assistenza, di centinaia di migliaia di persone disabili cada nel definitivo oblio sociale mentre i ministeri spendono, non sempre in maniera adeguata, i promessi 200 mld del Pnrr”.

Il DDL A.C. 3347, Delega al Governo in materia di disabilità, rappresenta uno degli adempimenti del PNRR più tempestivamente realizzati dal governo. Ma leggendo sia l’articolato che la Relazione illustrativa se ne ricava un’idea che la politica è molto lontana dalla realtà e dall’inclusione delle persone disabili. Eppure nel loro vissuto, dopo l’ attenzione all’aspetto sanitario, c’è l’aspirazione al lavoro. Non dimentichiamo infatti che il lavoro è sempre più il luogo di incontro, di interazione fra individuo e collettività. Il lavoro è la via principale per accedere alla normalità, alla sicurezza, al successo, e al proprio progetto di vita. Il lavoro è occasione di scambio di esperienze comuni, di condivisione umana, è strumento di confronto con sé stessi e con gli altri, è modo per raggiungere obiettivi e risultati. L’identità personale passa attraverso il ruolo che il singolo ha rispetto alla comunità di appartenenza; la professione e il curriculum lo rappresentano, in una fusione sempre più forte fra essere lavoratore ed essere persona. Il lavoro impone una organizzazione programmata del tempo; offre una ragione per affrontare il nuovo giorno, produce una routine tranquillizzante che, in quanto tale, inibisce l’ansia e quindi produce equilibrio psicofisico. Questo processo rafforza l’autostima e quindi la sensazione di benessere. Il lavoro è il luogo dove l’uomo incontra sè stesso; il fare/lavoro è la sua linfa vitale.

L’assenza di lavoro toglie tutto questo e produce preoccupazione, frustrazione, angoscia, e disperazione, a cui si accompagna una serie infinita di contraddizioni personali e sociali. Non ci sono alternative al lavoro! Un assistito non sarà mai uguale ad un lavoratore, ad un individuo socialmente attivo. Ecco perché bisogna occuparsi e preoccuparsi del loro futuro lavorativo, soprattutto di quelli  più fragili. Al contrario la realtà continua a mostrare un crescente numero di persone disabili confinate forzatamente nelle mura domestiche o costrette ad accettare pseudo occupazioni, spesso occultate da forme varie di tirocinio, tranne pochi casi pubblicizzati dai media, e i “disabili-abili”che si auto collocano, gli altri sono destinati a rimanere fuori dal mondo del lavoro, creando così una ulteriore discriminazione fra i già discriminati, fra i “disabili-abili” e i “disabili- disabili”. Il dubbio che sorge leggendo il DDL, è che il Governo non abbia idee, non abbia una strategia da mettere in campo e lasci il compito alle Regioni che straboccheranno di finanziamenti e di nuovo personale assunto.

Ma ritornando al DDL, troviamo un riferimento al lavoro al comma 5 dell’art. 1,  lettera c, parla di “progetto di vita personalizzato e partecipato” senza fare alcun riferimento al tema dell’integrazione, né occupazionale, né lavorativa. Vi fa invece riferimento nella parallela lettera c) dell’art. 2. In particolare il punto 5, lì fa capolino la parola “lavorativi” nella forma quasi di un “di cui”. Anche nella relazione illustrativa compare una sola volta la parola “lavorativi” ma solo incidentalmente.

La sottovalutazione del tema “disabilità-lavoro” appare evidente in alcuni passaggi della relazione illustrativa, nei quali si fa più volte riferimento al PNRR – Missione 5 dimenticando che il Piano raccomanda di dare particolare rilievo all’inclusione lavorativa delle persone disabili all’interno  delle politiche attive per il lavoro.

Tutto questo unito ai deludenti risultati occupazionali conseguiti dal Collocamento Disabili, in due decenni,non può che preoccuparci. E’ impensabile ottenere risultati positivi se non si riforma il sistema del collocamento disabili. Un sistema che non solo si è rivelato inefficace nell’attività di collocamento ma non è stato in grado di creare buone prassi e politiche attive adeguate; che ha burocratizzato gli uffici anziché trasformarli in servizi per i disabili e per le aziende, spingendo quest’ultime ad un arroccamento difensivo fatto di evasione ed elusione degli obblighi di legge.

Eppure lo stesso Ministro del Lavoro, Orlando, poco dopo il suo insediamento, nella seduta del 22 aprile di quest’anno in XI Commissione della Camera, dopo aver rilevato “la fortissima disomogeneità territoriale” in materia di inclusione lavorativa delle persone con disabilità, ha usato parole chiare nel descrivere lo stato delle cose: “Sono consapevole che partiamo da un quadro critico, se non, addirittura, molto critico, perché solo una minoranza delle persone con disabilità è inserita nel mondo del lavoro.

Infatti la realtà evidenzia una serie di contraddizioni che hanno complicato il processo inclusivo dei disabili. Il personale degli uffici provinciali preposti, scarsamente preparato e aggiornato, ha portato i servizi provinciali verso un’eccessiva burocratizzazione degli uffici, vanificando così il concetto di “collocamento mirato” che era alla base della riforma del precedente Collocamento Obbligatorio.

A tutto questo si sono aggiunti 15 anni privi di una governance nazionale e regionale attenta e competente. Si sono pertanto sviluppati uffici provinciali di tipo feudatario, dove gli usi e costumi locali hanno preso il sopravvento rispetto alle norme in materia; si sono sviluppate procedure che variano da regione a regione e da provincia a provincia, producendo un sistema arlecchino incomprensibile per i disabili, per le aziende e per i servizi territoriali, eppure già nel decreto attuativo della legge 68/99 (DPR 333 del 10 ottobre 2000) si raccomandava di: “Porre la necessaria attenzione al disomogeneo funzionamento degli essenziali e necessari servizi pubblici della Lg 68/99” nelle varie province, dovuto anche “alla mancanza di servizi territoriali di inserimento lavorativo che dovrebbero essere realizzati da vari enti”. Uffici che in solido con l’INL (ex ispettorato) consentono un’evasione ed una elusione degli obblighi superiore al 50%. Stima non suffragata da dati certi, come tutto ciò che si riferisce al rapporto disabilità/lavoro, in quanto siamo ancora privi di una banca dati nazionale e di un aggiornamento statistico in tempo reale (pure previsti dalla legge: art. 9, comma 6 bis della legge 68/99, mai attuato). Sappiamo però che gli avviamenti al lavoro sono circa 20-30.000 all’anno rispetto al milione degli iscritti. Una percentuale molto bassa, una delle più basse d’Europa. Ora la pandemia non farà che aggravare ulteriormente la situazione. Pertanto I disabili, soprattutto i più deboli, (disabili con invalidità superiore al 79%, disabili psichici, intellettivi e malati rari e i disabili sensoriali) stimati circa il 70% del totale degli iscritti, saranno maggiormente esposti al rischio di disoccupazione permanente.

Tutti sono al corrente della situazione, ma nessuno sembra volere un cambiamento del sistema pubblico di collocamento, ora si pensa a un potenziamento delle risorse economiche e del personale incaricato. Lo Stato è in forte ritardo, e si avvale di consiglieri impreparati e non in grado di dare un contributo innovativo, concreto ed efficace. Ne consegue che, nel prossimo futuro, nella migliore delle ipotesi avremo il rafforzamento status quo. Si pensa infatti, attraverso il PNRR di versare un fiume di risorse economiche, incrementare il numero del personale dedicato, e di varare le obsolete e inutili Linee Guida previste dal D.Lgs 151 del 2015. Se così fosse, saranno sufficienti due anni per constatare l’inefficacia di queste scelte. Del resto non si può avere un cambiamento offrendo unicamente più risorse a chi ci ha portato al fallimento del sistema pubblico di collocamento. Se non vogliamo mancare l’appuntamento con una occasione storica e non deludere le aspettative di un milione di famiglie serve la riforma del Collocamento dei disabili, la revisione della legge 68/99 e un approccio culturale veramente inclusivo.

ANDEL ha pertanto cominciato a proporre alcuni emendamenti alla legge delega e alla legge di bilancio.

All’articolo 1, comma 5, lettera c) aggiungere in fondo: “con particolare riferimento gli aspetti occupazionali e lavorativi

All’articolo 1, comma 5, dopo la lettera e), aggiungere la seguente:

e bis) riqualificazione del sistema di collocamento mirato e potenziamento dei controlli sull’attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68;

All’articolo 2, comma 2, dopo la lettera e), aggiungere la seguente:

e bis) con riguardo alla riqualificazione del sistema di collocamento mirato e al potenziamento dei controlli sull’attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68:

  1. riordinare il sistema del collocamento mirato sulla base del principio di sussidiarietà, rafforzando la collaborazione con i soggetti qualificati del Terzo Settore e promuovendo l’omogeneità delle procedure amministrative sul territorio nazionale;
  2. promuove l’accesso al lavoro delle persone con disabilità complesse, psichiche, intellettive e malattie rare;
  3. riordinare e unificare su tutto il territorio la raccolta dei dati ai sensi dell’art. 9, comma 6 bis, della legge 12 marzo 1999, n. 68, attraverso la raccolta omogenea di dati analitici, ivi inclusi quelli sulla distribuzione per fasce d’età e per tipo di disabilità, sulla valutazione delle competenze, sugli inserimenti lavorativi e sulle tipologie degli inserimenti, sugli accompagnamenti al lavoro;
  4. prevedere programmi e modelli di qualificazione e riqualificazione del personale addetto alla inclusione lavorativa delle persone con disabilità e di potenziamento degli uffici e dei servizi di inserimento;
  5. censire e codificare ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, con valore su tutto il territorio nazionale, le buone pratiche di inclusione lavorativa delle persone con disabilità;
  6. potenziare e rendere efficace il sistema dei controlli sugli adempimenti agli obblighi della legge 12 marzo 1999, n. 68 da parte delle pubbliche amministrazioni e delle imprese pubbliche e private e disporre che nella Relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 68 del 12 marzo 1999, vi sia una sezione apposita, curata dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali e dal Ministro della Funzione pubblica, dedicata al numero e agli esiti dei controlli effettuati nell’anno di riferimento dagli uffici competenti e alle sanzioni irrogate.
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